Inerpicarsi su per il fianco della montagna diretto verso la vetta, con la mente leggera, il viso illuminato dal sole sopra le nuvole, la meta sempre più vicina.
La visuale è chiara, il rumore sempre più lontano, i miasmi ammorbanti cedono il posto all'odore di terra, roccia, resina, legno, neve.
Sei solo: e ti basti.
Raggiungi un bosco, sei ospite gradito.
Gli alberi ti riparano dal vento e dalla troppa luce.
Potresti fermarti per sempre qui e saresti finalmente arrivato.
Ma vuoi la cima della montagna, quindi ti lasci alle spalle anche il bosco e ti inoltri nella radura all'aperto, lo sguardo rivolto verso il punto in cui la terra tocca il cielo.
Sei felice. Sei a 6,5 k* dalla cima.
Una enormità in effetti, ma puoi farcela. Hai energie fisiche e mentali, volontà, tempo, possibilità.
Ed eccolo, come era prevedibile.
Da un lato della montagna spuntano le nuvole minacciose di un temporale. Un temporale tremendo, nero ed oro.
Il tempo di accorgersene ed i fulmini cominciano a saettare di fianco a te, incendiano alberi, fanno volare rocce.
Il frastuono ti rende sordo, il lampo ti rende cieco.
Nel disperato tentativo di continuare verso la tua meta cerchi un riparo, ma tutti gli alberi sono lontani, nessun bosco come rifugio.
Forse l'unica soluzione è tentare di salire ancora affrontando il vento e la tempesta, ma sei stremato dalla corsa ed anche, per la prima volta, dalla paura.
Così non ti curi di come corri, pensi solo a correre.
Ma paghi le conseguenze della tua foga e della tua disattenzione.
Basta un niente per mettere un piede in fallo e lo capisci solo quando è troppo tardi, quando già stai cadendo e rotolando giù, perdendo tutto quello SPAZIO PREZIOSO che avevi guadagnato con tanta fatica.
Scivoli, scivoli, frani tu, tutto frana intorno a te ed improvvisamente hai paura di perdere tutta la strada fatta, tutto in così poco tempo.
Arrivi rotolando tra rocce, fango, detriti in mezzo al bosco. Sei convinto di essere al riparo e di averla scampata, ma cominciano grandine e pioggia incessanti.
Ti sembra che il cielo ti abbia scatenato contro tutta la sua furia.
Le gambe non ti reggono più, la mente vacilla, il dolore è infinito e non puoi proteggerti in alcun modo.
Non sai come fare a ripararti (non puoi), anche se l'essere bagnato, infreddolito e malconcio sono problemi minori: la rabbia enorme è l'aver perso tutta quella strada fatta.
Hai lasciato per strada un sacco di persone che ti ancoravano e non ti permettevano di salire e non puoi nemmeno parlarne con loro, confrontarti, sfogarti: poco male, non sarebbero state d'aiuto. Hanno fatto tanto per te, hanno fatto tanto per togliertelo. Altre, semplicemente sono state irrilevanti.
In ogni caso, sarebbe stato un monologo e le persone non sono fatte per questo.
Per salire bisogna essere leggeri. E concentrati.
E di ali ne bastano due. Di più, sono troppe.
Ti siedi e cerchi di ragionare sul da farsi.
Ma la tempesta non passa.
Attendi ancora.
Non passa.
Attendi un tempo infinito.
Ma la tempesta sembra essere l'unica situazione possibile.
Non va più via.
Allora urli, ti arrabbi, ti disperi, ma la tempesta è ancora lì: non passa.
E allora, infine, ti rassegni: non c'è modo di salire sulla vetta, non ci si può più arrivare.
Non così.
Non ce l'hai fatta.
Hai perso.
Cominci a pensare di scendere, o di lasciarti cadere.
TI LASCI ANDARE.
... poi capisci che qualcosa ti ha trattenuto in mezzo al bosco: e scopri un turbinio di esseri, di piante, di animali che non avevi mai visto prima d'ora.
Si tratta di un cambio di prospettiva: spesso quando si sale, in montagna, si tiene la testa bassa sul sentiero e non si riesce a vedere quanto di bello ci sta intorno.
Scopri che sei vivo per miracolo: un intreccio di piante e rami ha arrestato la tua caduta ed eri a pochi metri da un baratro.
Ancora poco e saresti scivolato a valle: un niente e saresti morto.
Il fiato si interrompe, non respiri più: tutto si blocca, anche la tempesta.
Poi, succede.
Non è neanche un brivido quello che ti passa per la testa: è piuttosto una scossa. Una cosa pari al lampo che illumina la vetta.
Ricominci a respirare e l'aria ha un sapore diverso.
Improvvisamente la grandine sul viso non fa poi più tanto male.
Anche la pioggia ti rinfresca: la gamba può ancora camminare, il fiato ridisegna una nuvola davanti alla tua bocca, il cuore riprende a battere come dovrebbe.
I lampi non ti spaventano più, anzi: illuminano la strada.
La mente si riporta sull'obiettivo: ora vedi il sentiero chiaramente.
Esci dal bosco, ti inoltri nuovamente per la radura, con occhi diversi.
Fai un altro passo avanti ed uno in su.